Film

La versione di Barney

Tratto da un famoso e premiato romanzo di Mordecai Richler, La versione di Barney segue il suo protagonista da cui prende il nome lungo un arco di esistenza che dura quaranta anni e tre mogli. Impariamo a conoscere questo burbero Barney (Paul Giamatti) e le persone che gli ruotano attorno: le mogli, ovviamente, ma anche l’amico di una vita (Scott Speedman) di cui è accusato di omicidio dal libro del detective che si occupò della sua scomparsa, e il padre poliziotto in pensione sempre pronto con i suoi aneddoti (Dustin Hoffman). Questo finchè non troviamo Barney stanco e vecchio e preda delle amnesie che lo accompagneranno fino alla fine della sua non facile esistenza.

La domanda più facile da porsi nei confronti di questo film, ma anche più in generale per il cinema è: è sufficiente trarre la propria storia da un libro dal successo strabiliante per ottenere una pellicola di sicuro almeno sufficiente? La risposta è, ovviamente, no: non fa eccezione nemmeno questo film di Richard J. Lewis. Io, personalmente, chiederei invece: fare la trasposizione di un romanzo brillante è più facile rispetto a una storia originale o un libro mediocre? Il provetto novellino del cinema, che si invipera per la mancanza di Tom Bombadil nel Signore degli anelli e, più in generale, come prima critica a un film del genere si strappa i capelli su quanto sia diverso dal libro, risponderebbe di sì. Basta esser fedeli e il film è necessariamente bello e sufficiente. Io, invece, rispondo di no.

La versione di Barney è dunque un film men che mediocre tratto da un libro decisamente buono. Perché è mediocre? Perché è troppo fedele, è troppo vicino all’idea di “trasposizione da un libro”. Lewis non è affatto un buon regista: dedito solo ad opere televisive in serie, peraltro nemmeno tra le più brillanti degli ultimi tempi (e degli anni 90 da cui parte). Da regista non bravo si limita a fare quello che farebbe la prima persona che raccatti per strada: sfoglia il libro e lo fa accadere davanti alla telecamera. Senza nemmeno cercare di trasporne un’idea, che sia di Richler o di Lewis andrebbe bene lo stesso, o puntare almeno su una presunta naturalezza della messa in scena alla Dogma vontrieriano.

Di sicuro non è questo scialbo rappresentare gli eventi ad essere il modo giusto. Un regista vero avrebbe sfruttato artisticamente, ad esempio, la distruzione diegetica della storia mettendo lo spettatore nella stessa condizione del protagonista attraverso cui vediamo la storia. E quindi un uso sapiente del montaggio, per cesoiare qua e là ogni certezza e lasciare dubbi, vuoti e smarrimenti, proprio come nella testa del Barney sulla via dell’amnesia completa. Insomma, una delle opzioni di Lewis era fare come Nolan in Memento. Non pretendo certo di avere in tasca la ricetta giusta per fare una trasposizione del genere, sia ben chiaro. E men che meno voglio suggerire che esista un solo modo di farla, rifacendomi a ciò che Nolan ha fatto. Non addito Memento, reazionariamente, come Unico e Solo Cinema per un film del genere. E’ solo un esempio per far capire quale univeso di possibilità, quali gradi di libertà Lewis aveva a disposizione per muoversi. E ai quali ha rinunciato.

Si possono prendere ad emblema di questa mediocrità le ultime sequenze, quando il dubbio sull’omicidio-perno della vita di Barney viene disciolto davanti agli occhi dello spettatore. Un buon regista si sarebbe fatto bastare l’inquadratura e la battuta del figlio: Lewis deve invece aggiungere due ripetizioni in voice over e altre tre inquadrature, ralenti compreso. Un’esplicita accusa di stupidità al proprio pubblico del genere non si vedeva francamente da molto tempo.

Rinuncio, in chiusura, a stroncare completamente il film. Lewis non è riuscito, almeno, nell’impossibile: rendere brutte e noiose anche alcune piccole battute, alcuni sprizzi di vitalità che qua e là facevano capolino in maniera talmente evidente dal non essere ignorabili. E il plauso va sicuramente a Giamatti, il cui doppiaggio dovrebbe essere bandito per legge con la morte per impiccagione di tutti i responsabili, soprattutto dopo aver sentito cos’è in grado di inventare con la voce dopo American Splendor.

2 / 5

Saluti,

Michele

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One Response to “La versione di Barney”

  1. On 20/01/2011 at 10:55 Maghetta responded with... #

    Avrà pensato a me quando ha girato la scena del pallone? :P ero talmente rattristata dalla situazione che ci sono arrivata un paio di inquadrature dopo..
    Ad ogni modo, non sono d’accordo con quanto hai scritto.
    Sai con certezza che nessuno gli abbia chiesto di rimanere completamente fedele al libro?
    Non ci vedo nulla di male al fare la “trasposizione fedele del libro”.
    Poi sarà che io faccio parte di una categoria che se un libro mi piace, nella sua storia, nel suo modo di esser narrata, nei suoi personaggi ect…leggendo, il “film” mi scorre davanti agli occhi.. E rivederlo proiettato sullo schermo di un cinema, mi fa sentire come quando torno in un posto che mi piace e che non vedevo da tempo :)

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