Film

Deathwatch

Ho scoperto questo Deathwatch in una delle mie tante sessioni pomeridiane su Splattercontainer. Non è che mi aspettassi molto da questa pellicola, che si presentava come un classico horror da 90 minuti canonici riempiti dei soliti clichè di genere. Infatti nella mia lista di film da vedere è scivolato di molte posizioni e per pochi giorni non è riuscito a rientrare nella variazione di questa settimana su Jacob’s Ladder in cui sarebbe calzato a pennello.

E, per inciso, riguardo questo film sbagliavo su tutto. In realtà poco di Deathwatch può essere inquadrato nella “normalità” (e questo, vedremo, sia nel bene che nel male). Innanzi tutto l’ambientazione. Già esistono pochi film che si svolgono nel contesto della prima guerra mondiale, figuriamoci horror. Eppure l’insensata strage di inizio secolo ha tutte le caratteristiche per diventare, solo come scenario, un vero e proprio personaggio horror. Già poter utilizzare elementi terrificanti come i gas, le trincee luride, i fili spinati arrugginiti, i proiettili che fischiano oltre la recinzione che devi scavalcare è un notevole bonus di appeal per il film.

La sensazione di inutilità e di essere in una terra di nessuno è poi accentuata dal fatto che il plotone britannico protagonista della vicenda si trova, dopo essersi perso nella nebbia, a dover difendere una trincea in mezzo al nulla, situata tra l’ignoto e il niente. Una zona di mezzo in cui l’inutilità dell’obbedienza a ordini di ufficiali confusi tanto quanto i cadetti si rende sempre di più evidente.

Due sono fondamentalmente le pecche del film. A livello di sceneggiatura è assai arduo per la maggior parte del film riuscire a distinguere un personaggio dall’altro. Spiccano in realtà solo il protagonista per mere questioni anagrafiche (è un bimbetto in mezzo a un plotone di uomini) e la colossale macchietta interpretata con gigionesca bravura da Andy Serkis (il mito che ha interpretato Gollum e Kong nei film di Jackson). Sebbene il suo personaggio sia unidimensionale in maniera agghiacciante è innegabile che il lavoro interpretativo sia come sempre da tripla A e non ci si può che inginocchiare di fronte a una maschera così. Anche tutti gli altri personaggi hanno una caratterizzazione sgrossata con l’accetta, ma non si possono beare di una interpretazione di pari livello, diventando quindi opachi e fastidiosi. Almeno fino a quando non cominciano a morire e la riduzione del numero di personaggi rende più facili le cose allo spettatore.

L’altra pecca è una realizzazione visiva a tratti troppo televisiva. E’ intelligente il non indugiare troppo sull’effetto sanguinoso (che comunque è presente e realizzato bene, quando necessario), tuttavia il taglio di molte inquadrature fa pensare a una fiction.

In conclusione mi preme rimarcare che l’attenzione sulla sceneggiatura che è mancata a livello dei personaggi, si sente molto sull’ambientazione e sui significati di fondo. Rischia forse di essere troppo esplicita, ma di sicuro è assai efficace. L’essere in mezzo al niente, isolati dai comandi e in pericolo per la propria vita, libera gli uomini del plotone da tutta la sovrastruttura militare che li omologa. Perde potere la finta autorità precostituita e riaffiora quello che realmente siamo. E così i personaggi sono di nuovo liberi di mettere in pratica ciò che sentono, come il personaggio di Serkis che diviene niente più che un uomo delle caverne. Ma alla fine è in grado di salvarsi solo chi nel profondo del suo cuore sa ancora trovare un bagliore di umanità sepolto sotto tonnellate di annebbiante iprite.

Per la valutazione mi trovo in difficoltà. Mettendo pregi e difetti su una bilancia si otterrebbe forse una valutazione oggettiva di 3 su 5. Tuttavia ritengo che mandare avanti un’opinione sia anche una questione di mettere la propria faccia e le proprie convinzioni anche su ciò che può essere (molto discutibile). E perciò:

4 / 5

If in some smothering dreams you too could pace
Behind the wagon that we flung him in,
And watch the white eyes writhing in his face,
His hanging face, like a devil’s sick of sin;
If you could hear, at every jolt, the blood
Come gargling from the froth-corrupted lungs,
Obscene as cancer, bitter as the cud
Of vile, incurable sores on innocent tongues,–
My friend, you would not tell with such high zest
To children ardent for some desperate glory,
The old Lie: Dulce et decorum est
Pro patria mori.

Saluti,

Michele

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  1. blogring.org - 22/12/2008

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