Film

Machete

Arriva nei cinema americani, dopo la presentazione in anteprima al Festival di Venezia, l’ultima fatica di Robert Rodriguez. Uno dei suoi film più attesi, acclamato a gran voce fin da quando era un progetto fasullo, un finto trailer incorporato in quel bellissimo progetto che era il Grindhouse, in collaborazione con Tarantino. Da quel finto trailer, questo Machete prende tutto: un film con il mitico Trejo come perno assoluto della vicenda, un ex federale messicano che deve fuggire dal suo paese natale in quanto perseguitato da un narcotrafficante che gli ha ucciso la famiglia. Ma nel Texas un clandestino non ha vita facile e Machete si trova stretto in una morsa tra gringos pistoleri e un complotto volto a favorire il narcotraffico al confine sud degli Stati Uniti.

Machete nasce e cresce come un progetto puramente Grindhouse. La scena prima dei titoli di testa è un concentrato di celodurismo, trash ed effetti cheap da farsi venire i capelli dritti. E’ la goliardia di tipica di un Rodriguez al 100% di forma. Per una scena di tre minuti funziona bene, ma non funziona allo stesso modo per un intero film. E, fortunatamente, il buon Robert lo sa bene, calibrando con assoluta attenzione i momenti di azione horrorifica trash (non pochi invero) con intervalli più dialogati e meditati. Insomma: se ci si aspetta un remake di Planet Terror si rimane, fortunatamente, a bocca asciutta. La cosa migliore di questo revival del tipico film di serie Z è proprio la sua estrema e lucida autoconsapevolezza. I momenti di azione trash sono esagerati, tamarri, perfettamente di intrattenimento: anni luce avanti alle solite baracconate già viste di un The expendables. E fuori da questi momenti c’è molto di più, mentre il film di Stallone non ha nient’altro da offrire quando i fucili tacciono.

Si potrebbero citare tanti elementi in Machete che rendono fin troppo chiaro quale sia la differenza tra un cineasta a tutto tondo come Rodriguez e invece la piatta idea di cinema di Stallone*. Si possono citare i tanti dialoghi di contorno che animano il film in esame, molto più esilaranti e indimenticabili delle battute sull’altezza di Jet Li (splendido e divertente il cameo di Nimròd Antal, ma come dimenticare i due dialoghi di contorno che vedono come protagoniste proprio le guardie del corpo?). Ma sicuramente regna uno e un solo motivo più di ogni altro. Rodriguez infatti include nel suo film alcune delle parti del trailer originale inserito in Grindhouse. Sono spezzoni molto evidenti, perché di una qualità audiovisiva decisamente differente rispetto al resto del film (direi molto più sporca e rozza). Rodriguez lo fa perché è un bel salto carpiato metacinematografico: il falso che diventa vero, un trailer di un film inesistente inserito per davvero nel film stesso. Mai e poi mai invece un regista mediocre come Stallone potrebbe rinunciare a una vuota perfezione tecnica per nemmeno un secondo della sua pellicola. Se non è tutto in linea con ciò che la maggioranza ha decretato come “bello” allora c’è qualcosa che non va.

Il fatto che Rodriguez nella sua sceneggiatura tratti con astuzia e senza banalità una questione delicata come i flussi migratori non può che andare a suo vantaggio (anche in questo caso Stallone non riesce a mettere in piedi nient’altro che il solito dittatore sanguinario, yawn). Il buon Robert evita di lanciarsi in proclami in difesa dei poveri oppressi e, con un paio di battute ben calibrate, dà la perfetta immagine di quali siano i meccanismi e le pedine del potere che sulla pelle dei poveracci costretti a passare di straforo un confine sulla carta costruiscono un vero e proprio business. Finora ho trattato quelli che sono i maggiori, e forse unici, pregi della pellicola. Tuttavia è il caso di notare che Machete non è molto di più che un ottimo action passatempo, e che se sorpassa la sufficienza lo fa di poco. Perché?

Perché innanzi tutto i personaggi di questo Machete sono dei pupazzi gestiti male. Il genere di film prevede che siano pupazzi e niente più, su questo siamo d’accordo, il punto è che comunque questi pupazzi devono agire in un certo modo. E non sempre lo fanno. Si prenda ad esempio una particolare sequenza: il primo incontro ravvicinato tra Machete e il personaggio di Jessica Alba. Machete entra nella sua macchina e le ordina “Drive!”. E poi ancora “Drive”. Ora. Quando un personaggio come Machete dà un ordine lo deve fare una volta sola. E il personaggio furbo è quello che esegue ancor prima che Machete abbia finito di ordinare. Machete non ripete mai due volte la stessa cosa. Farglielo fare è farlo uscire dal suo stesso personaggio. Un errore che fa crollare gran parte del suo carisma. Tenendo conto che spesso viene fatto parlare decisamente troppo: non è la macchina da guerra che dovrebbe essere. Altri difetti della pellicola risiedono in un finale ben lontano dall’epico e dai fuochi artificiali che ci si aspetterebbe: Seagal è ottimo per tutta la pellicola, ma lo scontro finale è cosa da poco; De Niro è grandioso (spettacolare come riesca a tirare fuori una prestazione da navigato caratterista, segno che dietro al vuoto star system ogni tanto qualche sprizzo vero di attorialità esiste), ma la fine del suo personaggio è talmente inelegante da richiamare alla mente l’orrido scioglimento di Amabili resti.

A giusta nota di inventario in chiusura val la pena di ricordare che Rodriguez non è Tarantino, per quanto possano essere enormi amici. La differenza tra Machete e Bastardi senza gloria è la stessa che sta tra Planet Terror e Death proof: metacinema, qualità alla regia, sceneggiatura allo stato dell’arte la seconda; esperienza sciocca e a fini ludici, trucchi del mestiere e conoscenza dei propri limiti la prima. Non ci si trova di fronte a un cineasta che passerà alla storia, nè a un’icona culturale. Su tutte l’appartenenza del film al genere di revival dell’exploitation (una delle tante a caso) vuole permettere a Rodriguez di andare a briglia sciolta su tantissimi aspetti: gnocche, violenza splatter e bambinesche scene d’azione. Non gli si può quindi annotare come difetto quando esagera anche oltre i canoni dell’eploitation quindi. Ma è sacrosanto, però, non gradire.

3 / 5

Saluti,

Michele

* Messa così sembra quasi che la mia posizione sia di fanboy per Rodriguez ed hateboy per Stallone, affermando che il primo è sempre meglio del secondo. Nulla di più lontano dalla realtà: molti film di Rodriguez sono infatti inferiori per sensibilità, tematiche e qualità di revival metacinematografico al Rocky Balboa del 2006. Quello che voglio dire è che la visione del cinema di Rodriguez è semplicemente più promettente, ma può riuscire estremamente male. Così come quella di Stallone, per quanto più legnosa, è in grado di fornire prove godibili e ben oltre il piacevole.

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