Trailer Fight

Trailer Fight #16: Freakonomics

Non è passato molto tempo dall’ultima trailer fight, tuttavia ho sentito l’impulso di pubblicarne una nuova poiché essa fremeva nelle mie dita. D’altronde allora si parlava di horror e anche qua si parla in un certo senso di horror. Ma un horror ben peggiore del rimanere chiusi in una bara o intrappolati faccia a faccia con il diavolo.

Perché è un orrore che non solo può accadere a chiunque di noi, ma che effettivamente è accaduto a ognuno di noi. Ovvero quello di ritrovarsi a vivere in un mondo governato totalmente da un branco di economisti addestrati a pensare che 2+2 non faccia 4, ma 6 con gli interessi di due anni. (Giuro: quando ho scoperto che a Economia studiano una specie di Matematica Economica che non ha nulla a che vedere con la matematica vera mi sono venuti dei brividi che neanche l’ultimo Balaguerò).

Di fronte a tanto spauracchio irrazionale c’è solo una cura: informarsi. Per capire che diamine sta succedendo nel mondo e se esistono delle chiavi di lettura che possano salvare l’umanità dall’invasione di questi zombi. Dunque: documentari. Ecco spiegati i seguenti ostacoli:

  • Trailer
  • Documentari
  • Film sull’economia

Uno dei due film è probabilmente già ben conosciuto, in quanto diretto adattamento di un saggio economico. Si tratta del famigerato Freakonomics, libro scritto da Steven Levitt in collaborazione con Stephen Dubner, e portato sul grande schermo da 6 diversi registi di affermati documentari d’inchiesta. A contendergli questa trailer fight sta Inside job, un film che cerca di smascherare violentemente i responsabili dell’ultima crisi economica.

Freakonomics

Inside job

Partiamo da Inside job, che ce lo abbiamo più fresco nella testolina. Dal trailer scelto, per montaggio e contenuti il documentario pare essere impostato su un paio di binari abbastanza classici alla Michael Moore prima maniera (tipo, direi, Enron: the smartest guys in the room di cui il regista però fa parte della cricca dell’altro trailer). Una tesi ben chiara e uno stile aggressivo e preciso per mettere nel sacco i propri obiettivi. Non c’è nulla di male a scegliere questo taglio, ma all’interno del trailer esistono elementi che mi fanno parecchio storcere il naso. In particolare le premesse, scritte a caratteri cubitali nelle recensioni autorevoli, che promettono “boiling with rage” al proprio pubblico, e similia. Ora: promuoversi non è un reato di per sè. Il punto è che il focus del documentario sembra essere solo ammassare un sacco del letame cucinato dal maialame di Goldman Sachs e soci di Wall street (attenzione al seguito di Oliver Stone in sala!) e presentarlo allo spettatore. Insomma: il punto pare più essere arrabbiarsi per quanto di osceno è stato fatto negli ultimi anni (ad esempio la speculazione sui beni agricoli che ha affamato inutilmente mezzo mondo) piuttosto che fornire gli strumenti per capire il meccanismo di ciò che è successo per fare in modo che questa acquisita conoscenza possa impedire un suo ritorno. Senza contare poi il pessimo titolo, che pare preso di peso da un sito complottista sul modello delle scie chimiche.

Freakonomics parte da un terreno molto solido, ponendo disonestamente la sua genesi in posizione più elevata, forte del suo basarsi su un best seller internazionale. Se i pregi finissero qui, dalla semplice traduzione del libro in documentario, allora ci sarebbe ben poco di cui interessarsi. Ma alcuni elementi fanno inarcare decisamente il sopracciglio, nella classica posizione da adepto di Five Obstructions interessato. Primo: fare una trasposizione cinematografica in forma documentaristica di un saggio non è che si veda tutti i giorni. Secondo, e ben più importante, a memoria mia non ho mai assistito a un concerto del genere di diversi autori per un documentario. Ci sono tutti i migliori: Super size me, il già citato Enron, Jesus camp e altri. Ognuno dedicato a un singolo capitolo del libro. La formula, francamente, mi entusiasma. Come tutte le novità del resto. Diversi punti di vista su diversi problemi con un solo punto in comune: cercare di tagliare la realtà da un punto di vista differente senza nessuna imposizione centralizzata dall’alto. Senza nessuna verità stabilita a priori da uno status quo e fatta quasi religione. In altre parole, citando Lenny Bruce, la rappresentazione della realtà per quello che è e non per quello che dovrebbe essere. D’altronde sta tutta qui la differenza tra la statistica economica e il data mining: la prima si può capire solo creando un modello e facendo rientrare tutto nella sua verifica, il secondo parte dai dati e sono essi indipendentemente da quello che noi vogliamo che sia la realtà a dirci qual è il modello che emerge. Molto più difficile, ma è l’unico modo di fare le cose.

E questo round se lo aggiudica dunque Freakonomics.

Saluti,

Michele

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