Trailer Fight

Trailer Fight #19: The first real trailer fight

Siccome agli ultimi ritratti ho invertito la tendenza orientofila, ho deciso di cominciare a fare un paio di conti in tasca anche alle Trailer Fight. E mi sono accorto (dopo 26 mesi!) che la mia fonte di trailer era principalmente il sito della Apple. Dunque c’era un piccolissimo problema di focus: le Trailer Fight sono sempre state tagliate sull’occidentalismo a stelle e strisce più spinto. Non che questo debba essere bandito dal blog, ma ogni tanto cambiare un po’ l’acqua al pesce male di certo non fa. Dunque spostiamoci in oriente per film che promettono le giuste e sacrosante botte da orbi. Che queste trailer fight sono da sempre delle fight più di nome che di fatto.

Ostacoli:

  • Trailer
  • Film orientali
  • Film d’azione
  • Film di arti marziali

Rispondono all’appello due pellicole. Una delle due, ahimè, in realtà è già uscita (Settembre 2010 in contemporanea sul mercato cinese e al Festival di Venezia) e spero di riuscire a recuperarla a breve. Si tratta di Jing mo fung wan: Chen Zhen, ad opera del (quasi) sempre ottimo Andy Lau. Tra l’altro devo scusarmi con l’esigente pubblico di Five Obstructions perché l’unico trailer con i sottotitoli inglesi che sono riuscito a reperire è quello doppiato in Mandarino (il film è ovviamente recitato per lo più in Cantonese). A contendergli la palma a suon di sganassoni è l’ultima fatica dell’ormai celebre, almeno sulle pagine di Five Obstructions, Panna Rittikrai: trattasi di Bangkok Knockout.

Bangkok Knockout

The Return of Chen Zhen

Andy Lau di The Return of Chen Zhen è un bravo ragazzo, innegabile. Assieme ad Alan Mak ha dato vita a una delle più importanti trilogie poliziesche della decade, (mal) copiata da Scorsese. Ma se il buon Alan Mak ha poi deciso di rimanere sulla sua strada, confezionando il gigantesco Overheard, Andy Lau ha provato a cambiare. E questo Chen Zhen è uno di quei cambi strani, uno dei rari salti in cui cambiare equivale a entrare in una brutta spirale conservativa e niente affatto innovativa. Francamente di tutta la marea di film patriottici e nazionalisti made in China un po’ mi sono stancato. Perché finché c’era l’ingenuità tutta tipica della fascia cinese dai ’70 ai ’90 (insomma: da Lee a Li) si potevano ancora reggere. E non è un caso che a scrivere ci sia il Gordon Chan di Fist of legend (da Li non ci si muove). Ora che arrivano anche i colossali budget non vedo perché apprezzare un rigurgito Hongkolliwoodiano che in nulla si distacca, eccezion fatta per gli occhi a mandorla non più solo spalle comiche, dalla controparte più puramente mainstream americana. Escludendo coreografie sempre più estreme e un naturale talento del buon Lau come regista, nulla di nuovo può essere trovato in questo trailer che appare una via di mezzo tra Once upon a time in China e Green Hornet di Gondry (insomma, si ritorna sempre Lee).

Panna Rittikrai, alla direzione di Bangkok Knockout, invece non è un bravo ragazzo proprio per niente. Nasce e cresce nel peggior fango commerciale thailandese che si possa immaginare. Uno che un talento come quello, non dico di Pen-Ek Ratanaruang, ma anche solo di Apichatpong Weerasethakul (Tropical malady) o di Sananjit Bangsapan (Hit man file) se lo sogna. Roba da farti rimpiangere quasi i fratelli Pang. Eppure in questo trailer ci trovo qualcosa di buono. Sarà che l’action thailandese quasi sempre è parecchio scadente in quanto a mezzi, ma ci mette tanta buona volontà. In particolare mi piacciono un paio di cose di Rittikrai. La prima: è tornato a fare le sue pazzie originali dopo aver abbandonato lo sterile star system attorno a Tony Jaa (cosa che invece gravita fastidiosamente attorno a Donnie Yen, protagonista dell’altra pellicola qui in gara). La seconda: quel grande amore per lo stunt estremo realizzato in prima persona dagli attori, senza stacchi o prodezze al computer estranee all’arte dello scavezzacollo. Cosa che Rittikrai ben sa fare, come testimonia il tragicomicamente involontario Born to fight. Una poetica dell’amore per la prima arte cinematografica commerciale degli esordi muti che è ben stampato nella testa di chi ha adorato le immagini finali del bellissimo The Fall. E che i cavetti di certa tradizione cinese poco rispettano.

Il film di Rittikrai farà schifo, come sempre. Ma non merita di essere liquidato come insignificante: tante considerazioni si possono fare su di lui e con lui. Chen Zhen invece è troppo poco troppo tardi. E perciò bocciato.

Saluti,

Michele

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