Trailer Fight

Trailer Fight #5: Sci-Fi Homeland

Ci sono sempre più esempi ormai di integrazione totale della computer grafica nell’arte visuale e in particolare in quella cinematografica. Dai primi vagiti, impressionanti per l’epoca, questo aiuto tecnico da sempre catalogato sotto la mera voce “effetto speciale” è diventato un modo per economizzare sui più costosi effetti tradizionali. Spesso con risultati terribili, che per molti hanno fatto nascere l’equazione “computer grafica = bassa qualità”. Non si contano infatti gli appassionati che cercano minuziosamente ogni difetto di questa tecnica visiva per poter sbandierare com’erano belle le creature di plastica o la stop motion, da Eraserhead a Possession (non la porcata con Gwyneth Paltrow, ma il bellissimo film di Zulawski, con la creatura a cura di un Rambaldi in stato di grazia, nel 1981).

Ma ormai la computer grafica sta evolvendo finalmente a un maturo uso artistico. Si sta trasformando da effetto speciale a vera e propria modalità espressiva, che coesiste senza problemi e invasioni di giurisdizione con le riprese dal vivo o, chessò, l’animazione o il bianco e nero. L’esplosione di titoli più o meno di fantascienza ne è testimone, come ne è testimone il fatto che la fantascienza, come già detto nella precedente Trailer Fight, è sempre più genere-ponte, un sottofondo in cui inserire diversi temi o contenuti. O altri generi come vediamo qui. Generi molto legati all’intimo, alla terra, alla casa. Così come la fantascienza, grazie alla computer grafica, è la casa del cinema moderno. Passiamo agli ostacoli di oggi.

  • Trailer;
  • Film fantascientifici;
  • Film con una preponderante componente di computer grafica;
  • Film che trattano prevalentemente un tema legato alla vita quotidiana e alla casa.

I due film che vogliono sbudellarsi a colpi di trailer oggi sono in realtà assai diversi tra loro, come l’ampio cappello vuol fare intuire. Il primo è un originale mockumentary (= finto documentario, vi è un vero genere su queste due antitetiche parole) chiamato District 9. Il secondo è un coloratissimo film, tipico esempio di ciò che Robert Rodriguez ci ha abituato a pensare della sua cinematografia per bambini: Shorts.

La parola ai trailer.

District 9:

Shorts:

District 9 parte come un documentario sugli slums nel Sudafrica (hint: controllare la nazionalità del regista). E il gioco regge bene fino all’inquadratura del disco volante, che giunge davvero inaspettata e a distruggere la noia che vi ha attanagliato fino a quel punto del trailer. Dopo questa epifania il resto del promo si svolge come se la rivelazione non esistesse. Ci sono le interviste (geniale la censura sugli occhi dell’alieno: oltre ad essere gustosamente umoristica è anche segno che ogni singolo aspetto del film è frutto di un’attenta preparazione), ci sono gli stacchi di montaggio tipici di un resoconto sugli slums e tutto quello che fa “documento”. Mirabilissimo e promettente esempio di ciò che dicevo in apertura: la normalizzazione dell’incredibile che sempre più si fa strada nelle vite di ognuno. E una speranzosa sintesi di quello che vuole essere il futuro: il trattare con gli strumenti neutri e non pregiudizievoli dell’arte (il classico documentario che presenta un fatto o una situazione e non la deriva di genere orientato a una tesi, ovvero il post Roger & me) qualcosa che è mai stato visto prima, totalmente alieno, diverso e vittima proprio del pregiudizio. Uno sguardo puntato al futuro e al superamento della cultura a compartimenti stagni.

Shorts è fin dalla prima inquadratura chiaramente un reset di Spy kids. La giocosa e bambinesca serie di Rodriguez era partita bene, ma con l’avanzare degli anni si è trascinata dietro pesanti difetti ed eredità non eliminabili facilmente. Fino a un terzo episodio francamente fastidioso. Rodriguez ha deciso quindi di ripartire da zero, facendo tesoro di ciò che ha imparato ma provando ad evolvere la sua filmografia. L’operazione non riesce a fondo. Il trailer è divertente e promettente, ma non sembra discostarsi molto da uno stile piuttosto piatto e troppo infantile. Quello che va è, per esempio, la scenetta finale del telefono: è infantile al punto giusto perchè è non sense, è stupida, è fottutamente divertente. Quello che non va è la solita bambinizzazione del mondo degli adulti, il bambino infilato nella spazzatura e quant’altro. E’ ancora un relegare fuori dalla porta di casa la tematica infantile, è il doverla vedere per forza come una versione “small size” del mondo degli adulti. Quando è invece molto più colorata e stupida, nel senso buono del termine.

Difficile confrontare i due film, come più volte ripetuto, ma è di certo il distretto nove a dari le vibrazioni migliori.

Saluti,

Michele

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One Response to “Trailer Fight #5: Sci-Fi Homeland”

  1. On 04/05/2009 at 12:03 maghetta responded with... #

    D-9 ha un’idea geniale.
    L’introduzione a interviste ect fa pensare a un documentario su chissà quale posto sperduto del mondo in cui si batte qualche “guerra” socio-politica. E invece poi, colpo di scena, si vede questa enorme astronave venire giù dal cielo.
    Non si può giudicare un intero film dal solo trailer, ma già vedere che la gente non scappa a destra e a sinstra urlando con fare teatrale, è già un sollievo dalla noia del solito film sugli alieni. Poi la fotografia non è niente male, più realistica e pr niente ridicola, come ormai tutti i film sugli alieni c’hanno regalato.
    E non c’è proprio paragone tra i fantastici risultati che si ottengono con lo stop motion e i vecchi effetti speciali stile mostro di gomma. Se ripenso a The Mist (di cui la nebbia oddio…faceva venire i brividi), lì proprio quel mostro incollato sulla “pellicola” (secondo me) faceva perdere la spettacolarità di tutto il film.

    La curiosità è di vederli entrambi
    Il bimbo-Phone poi (driiin “Hello!”) è troppo divertente! E’ ovvio fin dall’inizio che si tratta di un film-intrattenimento, di quelli che magari una sera metti nel lettore dvd pr farti un paio di risate, al massimo sorridere un pò pr tutti quei colori, ma niente di più.
    Mentre D-9 fa proprio acquolina da esser visto con effetti sonori e sala cinema, che una volta usciti in strada ti viene istintivo alzare gli occhi e controllare che ci siano le stelle e tutto sia ok.
    Da parte mia che con la grafica ci lavoro (più o meno), preferisco e credo preferirò sempre gli effetti speciali in cui la fotografia non si discacca mai (o quasi) da quella delle scene “reali”; dove quello che ti ritrovi a esplorare con la vista non va ai limiti dell’assurdo ma ti sembra quasi di poterlo toccare con le dita.
    :)

    salut!

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