Variazioni

Frammenti#2: Now we can see

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1 - Fear(s) of the dark
2 - Un altro mondo è possibile
3 - 11 Settembre 2001
4 - All the invisible children

Secondo appuntamento con la serie di variazioni dedicate agli agglomerati di cortometraggi, alla sinergia culturale, al tutto maggiore della somma degli elementi. Quest’oggi si parla di qualcosa che riunisce con il suo filo conduttore una grandissima parte del mondo artistico. Questo filo è il famigerato “impegno sociale”. Tutti, dalle rockstar agli attori, da scrittori a registi, sembrano fare a gara in maniera frenetica per mostrare quanto tengano alle sorti dei “più sfortunati”. E’ altresì ovvio che dietro tanti bei sorrisi e buone intenzioni stanno diverse spinte. Da una parte un sincero attaccamento e la voglia di fare qualcosa con i mezzi maggiori che sono piovuti dal cielo, dall’altra gretto calcolo che sfrutta quanto vada di moda, per marketing, mostrarsi così buoni. Moltissimi progetti nascono quindi sotto questa controversa egida, che a volte ottiene l’effetto opposto: l’allontanarsi da chi così falsamente propina ideali che tradisce ogni giorno. Five Obstructions cerca di capirci qualcosa di fronte a questo muro di sincerità mista a falsità, aiuti utili in mezzo a terzomondismo da due soldi.



1 - Fear(s) of the dark

Che cosa ci azzecca la paura del buio con l’impegno politico? O sociale? Perché un horror dovrebbe essere incluso nei film che trattano dell’impegno degli autori? Queste domande sembrano poggiare sulle granitiche basi del senso comune, ma si ritrovano ad essere sbriciolate dall’intera storia cinematografica. L’horror, infatti, fin dalla sua nascita è stato caratterizzato da una fortissima carica eversiva contro il sistema, contro il pregiudizio di una morale parruccona, facendosi fautore della più tetra e aggressiva forma politica espressiva. Basti pensare alla Notte dei morti viventi di Romero.

Le paure del buio di terra francese ripescano a piene mani da questo calderone magmatico di socialità, politica e moralità non convenzionale. Il filo conduttore di questi episodi che ritraggono la perdita dell’identità del corpo, l’autoisolamento culturale e/o individuale e temi simili è infatti una voce che scandisce le colpe dell’individuo, dell’occidente e della società quando essa si trasforma in carnefice dei suoi stessi cittadini. L’altro filo conduttore, quello del potere trascinato dai mastini che divorano il popolo, l’infanzia, l’arte e infine se stesso, è di fatto il miglior corto del lotto, sia a livello di sceneggiatura che di tecnica di disegno.
Rimane forse un po’ l’amaro in bocca per alcune altre parti del film, che è realizzato tecnicamente da maestri dell’animazione ben più che geniali. Rimane una povertà in fase di scrittura del filo conduttore della voce fuori campo, che propone un j’accuse fine a se stesso proprio di altre pellicole quali ad esempio Valzer con Bashir.

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Voto (4/5):


2 - Un altro mondo è possibile

Il G8 di Genova visto da una poliedricità di punti di vista differenti, in una raccolta documentaristica diretta realizzata nel momento stesso dell’esecuzione dell’atto (in maniera simile al recente, ma decisamente meno significativo, Cinque registi tra le macerie). Il progetto del documentario in divenire, meglio se con occhio artistico, è intrigante e ambizioso, ma non si può dire che questo mondo diverso sia stato un vero successo pieno.
Fin dalle fasi iniziali la pellicola infatti scade un po’ troppo nel generico. I registi che curano la parte introduttiva non sono stati abili nel riuscire a catturare una vera identificazione culturale e sociale dei partecipanti al movimento no global del 2001. L’arrivo nei treni, la sistemazione nei campi e tutto il resto infatti sembra estremamente impersonale e potrebbe far riferimento a qualsiasi altro meeting o raduno di giovani e meno giovani in giro per l’Italia. Insomma: sembra di vedere un gruppo che potrebbe essere di comunisti o di ciellini e questa non può che essere una clamorosa e imperdonabile svista.
Il film è comunque abbastanza intelligente e onesto da riuscire a dare voce a tutte le parti coinvolte nei fatti di strada che si sono svolti in Liguria a inizio decennio. Non c’è, e non ci deve essere, la voce del potere, che della strada non si cura e non ci si vuole mescolare. Ci sono, anche se forse troppo relegati e circoscritti, i black block e le devastazioni. C’è tanta politica, ingenua quanto si vuole, ma ben esposta nel suo essere naive e pungente.

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Voto (2/5):


3 - 11 Settembre 2001

Un evento centrale degli ultimi anni come l’attentato terroristico più famoso del mondo visto da molteplici paia di occhi sparse in giro per il mondo. E’ un’operazione importante quella di coinvolgere ogni angolo del globo per sottolineare come ognuno ne abbia una visione particolare di questo evento e di questa guerra, per smontare le facili fallacie logiche di chi desidererebbe disperatamente un mondo in cui si sta “o con noi o contro di noi”.

Se difetti se ne vogliono trovare si può andare a cercare fin da subito nelle case della produzione. Tutto il progetto artistico infatti è stato pensato su misura della solita cultura kontro che poco ha a che vedere con l’aspra critica sociale. Il progetto è stato messo nelle mani di registi che sembrano vivere solo per partecipare a progetti del genere e più di un regista infatti ha fatto parte di più di una raccolta di corti a sfondo sociale. Alla fine questa molteplicità di punti di vista non riesce ad emergere forte e decisa e molti registi si sono affidati al cliché rendendo la pellicola troppo ripetitiva.
Tra gli assoluti “worst” c’è di sicuro l’Iñarritu di Amores Perros il cui corto è il fulgido esempio della mancanza totale di idee. Meglio il corto francese sulla donna sordomuta, che si apprezza in ogni singolo aspetto di delicatezza e interpretazione. Decisamente estremo e non so quanto lecito per un extra americano il corto di Penn. Esilarante e riuscita invece la capatina nel Burkina Faso di Idrissa Ouedraogo.

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Voto (3/5):


4 - All the invisible children

All the invisible children non è basato su un evento storico preciso, ma su quella che viene definita un’emergenza sociale della modernità: quella dell’infanzia rubata. Al centro della macchina da presa storie di minorenni che sono attorniati da miseria, guerra, abusi e una società oppressiva che si dimentica di loro. Dietro la macchina da presa artisti del calibro di Kusturica, Spike Lee, John Woo e Ridley Scott.
Non è quindi certamente la qualità tecnica che manca. A parte qualche caso di registi infilati non si sa bene perché, infatti, tutti gli altri sono solidissimi autori dalla tecnica che rasenta la perfezione. Anche alcune sceneggiature non sono affatto male, come il corto affidato a Woo. Meno convincente risulta ad esempio Kusturica, che sembra voler applicare la sua tipica idea di cinema alla Gatto bianco, gatto nero fino alla morte, risultando però poco ispirato quando deve collaborare con un progetto pensato da altri a tavolino.

E’ questo fondamentalmente il problema. Chi ha fatto la commissione. Da una parte c’è l’Unicef, che non può tollerare null’altro che il proprio buonista modo di vedere il mondo relegando in una gabbia dorata le possibile vene più estremamente artistiche della sua squadra di registi. Dall’altra Unicredit che sembra aver voluto investire in questo progetto con l’unico scopo di mettere il suo logo nei titoli di testa e farsi un po’ di pubblicità. O, peggio, potrebbe avere nel suo reparto dirigenziale e di marketing una pattuglia di Helen Lovejoy che non fanno altro che urlare: “Mio Dio i bambini! Perché nessuno pensa mai ai bambini???”

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Voto (2/5):




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