Variazioni

Cosa resterà di questi anni 90

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1 - Jurassik Park
2 - Titanic
3 - Armageddon
4 - Il sesto senso

Finita la prima decade del XXI secolo bisogna fare due conti con la matematica storica. Se gli anni ’80 dovevano molto ai ’60, i ’90 ai ’70 e i famosi anni ’00 sono stata un’ulteriore evoluzione degli anni ’80, la decade che ci aspetta non può che essere un nuovo revival dei ’90. C’è poco da fare: resistance is futile. Perciò saremo costretti ad assistere a una nuova giovinezza del grunge e di Ligabue, a prescindere dal fatto che questo possa essere considerato un bene o un male. Five Obstructions vuole dunque arrivare preparata con largo anticipo al Gennaio 2011 che segnerà un nuovo inizio del cattivo gusto (non che gli anni ’80 fossero tutta questa sobrietà, ma almeno era un cattivo gusto consapevole). La variazione che vi vado a presentare è la prima di due parti dunque rivolte tutte verso gli anni ’90. Nella prima parte analizziamo i grandissimi successi di pubblico e botteghino dal 1991 al 2000, in futuro mi riservo l’altra faccia del cinema: la critica.



1 - Jurassik Park

Il film di Spielberg rappresenta forse uno dei tanti padri morali degli anni ’90. E’ la fine del cinema anni ’80, quindi dell’effetto kitsch e della soluzione preconfezionata che deve durare un’inquadratura stretta di pochi secondi. Con Jurassik park si cominciano le corse a perdifiato in enormi campi renderizzati, si comincia a puntare sull’effetto che deve stupire non in quanto in sé, ma in quanto parte del tutto.
E’ la ricerca a tutti i costi dell’”effetto wow”, molto più potente di quella vista negli anni ’80 in cui l’attenzione aveva al suo centro l’uomo e il corpo (vedi Predator, ma anche tutto il cinema di Cameron da Terminator, ad esempio). Di fronte a un tirannosauro l’uomo scompare come piccola particella del caos. Non è un caso se i protagonisti sono Sam Neill e Jeff Goldblum: non certo una coppia di Schwarzenegger!
E’ da imputare a Jurassik park e a film del genere se ormai il cinema mainstream di Hollywood è un patinato in cui solo per caso ci sono facce di attori veri in mezzo ai render di un computer. Questo non è necessariamente un male di per sé se i prodotti avessero una loro indipendenza e valenza autonoma. Ciò purtroppo non è sempre vero, e il mare magnum della piattezza per un intrattenimento fine a se stesso trova qui le sue radici da estirpare.

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Voto (2/5):


2 - Titanic

Come ogni film di Cameron che si rispetti, anche Titanic ha tutto per piacere al grande pubblico. Se facessi una variazione con un campione di incassi o di considerazione nell’immaginario collettivo per decade, probabilmente potrei farla solo con film di James Cameron. Che cosa rende i suoi film così incredibili macchine per fare soldi?

Intanto c’è la storia semplice. Lui ama lei, il mondo li ostacola. Più lineare di così si muore. C’è poi uno stile di regia pomposo, ma non autocompiacente, chiaro ma sostenuto, avanzatissimo tecnologicamente ma al servizio di un’apparenza tradizionale. Tutte note stilistiche che mandano in estasi i neuroni di chi al cinema cerca solo intrattenimento e pochi pensieri. Nel caso di Titanic abbiamo anche lo status symbol del momento, Leonardo “Bistecca” Di Caprio. Il momento più basso della sua carriera, che da quel momento in poi si sarebbe rivelato un disperato tentativo di rimettersi in piedi un’immagine che per tutti era diventata solo “il figone che piace alle bimbe protoemo”.
Ciò che affascina di Titanic è che si immedesima perfettamente negli anni ’90 al punto da esserne quasi simbolo. Al contempo è impossibile non notarne i punti in comune con gli anni ’80 (Terminator) e gli anni ’00 (Avatar) di Cameron: un’immutabilità che sembra prescindere lo spazio (cinematografico) e il tempo.

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Voto (1/5):


3 - Armageddon

Come detto e ripetuto più volte, Armageddon è Michael Bay nella sua forma più pura e isolata dalla maggior parte dei suoi (enormi) difetti. Assieme all’altrettanto puro, ma non così ben riuscito, The rock, Armageddon rappresenta tutto il cinema migliore di Bay. Dall’altro punto di vista, Bay è, se non il padre, almeno lo zio degli anni ’90. Sommare le due cose fa diventare Armageddon la poetica totale che ha imperato dal 1991 al 2000. Agghiacciante.
Abbiamo davvero vissuto una decade del genere? La decade del “c’è il tipo buffo, l’arrapato, il belloccio con la bellona, il superuomo tutto d’un pezzo, lo straniero divertente e il nero gigante”? La decade del “pretendo che le assurdità della fisica siano credibili”? La decade del “non importa cosa succede ma ci sarà sempre un discorso del presidente degli Stati Uniti al tramonto quando decolla qualcosa”? La decade del superuomo a stelle e strisce che fa buchi nei fondali marini e salva il mondo da un asteroide perché la Nasa non sa andare a fare un buco nello spazio (poi ci si sorprende della chiazza di petrolio nel golfo del Messico: per forza! I trivellatori bravi vanno nello spazio)? La decade, Dio ci salvi, di BEN AFFLECK?!

Sì, c’è stata. E, al contrario di quanto cantano gli Afterhours, ne siamo usciti vivi. Un po’ acciaccati, ma vivi. E allora la domanda che vi chiedo è: un film che riesce ad ammassare una tale quantità di elementi tipici di un’epoca può essere considerato brutto? Sì: è orrendo. Ma è un accrocchio talmente brutto che sembra un capolavoro d’arte moderna. Michael Bay: ripensaci. Dopo Armageddon è stato un fallimento continuo. Per la prossima decade torna ai ’90. Lascia stare i Transformers e dacci Bad boys 3 con Will Smith e Silvio Muccino.

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Voto (4/5):


4 - Il sesto senso

Il sesto senso, uscito nel 1999 e primo lungometraggio di M. Night Shyamalan ad aver ricevuto attenzione dal grande pubblico, segna praticamente il colpo di scena della trama chiamata “anni ’90”. A modo suo è un film che racchiude sia la fine della poetica degli anni ’90, sia l’inizio di una filmografia che definire paradigmatica è usare un eufemismo.
M. Night Shyamalan è infatti un regista di pura appartenenza agli anni ’00 e in questi anni ha disegnato una parabola ideale finita con la parodia di se stesso in due episodi. Ad esempio con Lady in the water il suo famoso “colpo di scena finale” è l’assenza del colpo di scena. Una precisa conclusione di quanto iniziato col sesto senso: decostruzione totale dei ’90. The happening ne è poi parodia, in cui gli esasperati toni da tragedia definiti per la prima volta da questa storia di fantasmi si scontrano con un umorismo non facile da percepire.
E infatti se i toni del sesto senso risultano popolari e anticipatori della fortuna tipicamente ’00 dei fantasmi giapponesi, The happening chiude la cordata di questa decade, aprendo la filmografia a qualcosa di totalmente diverso come The last airbender. Forse a qualcuno il nuovo corso di Shyamalan può lasciare indifferente o addirittura far schifo. Eppure era necessario un cambiamento. Perchè il sesto senso rimarrà tra i film “indimenticabili”: ovvero un concetto tipicamente anni ’90 e ormai privo di significato (se mai uno l’abbia avuto).

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Voto (3/5):




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