Variazioni

The empire strikes back

OstacoliFilm

1 - La sottile linea rossa
2 - Youth without youth
3 - Sopravvivere con i lupi
4 - Eyes Wide Shut

Esistono persone per cui il cinema rappresenta la vita stessa. Altre, invece, che lo considerano un mezzo da centellinare e da utilizzare solo ed esclusivamente se c’è effettivamente qualcosa di nuovo e di importante da dire. Non esiste in realtà una gerarchia tra queste due categorie di artisti: né l’una né l’altra via si può dire “migliore” in senso assoluto. Esistono registi molto prolifici che, pur con le loro tremende cadute di stile, riescono a tenere su livelli insospettabilmente alta la loro media (penso a Johnnie To o Miike Takashi). Altri, invece, che possono rimanere zitti per dieci anni di fila. E poi uscire con qualcosa in grado, spesso, di cambiare per sempre il mondo del cinema. O quantomeno il loro mondo del cinema, la loro visione autoriale dell’arte e della comunicazione. Questa variazione si vuole dedicare ai colpi di cannone sparati da grandi autori che tornano sulle scene dopo dieci anni di assenza.



1 - La sottile linea rossa

Esiste un magico parallelismo tra lo stile di Malick nel gestire le proprie scene, in particolare ne la sottile linea rossa, e nel gestire la propria carriera. Questo film esula dal film di guerra ed assurge ad altro. Per farlo, Malick attua una dilatazione estrema delle scene che le trasfigura dal loro inizio fino a mutare completamente. Per questo si parte dal combattimento e si arriva all’intima natura umana, alla sopravvivenza, a qualcosa che va oltre un’isoletta del Pacifico.
Chi cerca coerenza storica in un film del genere, sostenendo che lo svolgimento dei fatti è tutto sballato, ha sbagliato film. Nel dilatare la scena, Malick ci suggerisce che essa deve arrivare a dire quello che vuole dire, non quello che le logiche di altri (spettatori, mercato, produttori) vogliono che dica. Proprio come la sua carriera: dal suo genio tutti, da certo pubblico di nicchia alla critica, esigerebbero una produzione più fitta dei quattro film in cinquant’anni che ha fatto. Ma Malick vuole dire quello che ha da dire e, soprattutto come e quando vuole dirlo.
Questo autore è capace di cambiare il cinema con solo tre ore di lungometraggio, come ampiamente dimostra la sottile linea rossa. Ma per farlo la sua scrittura ed esperienza di vita deve dilatarsi quanto le sue scene, inglobando la vita e dandogli un significato.

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Voto (5/5):


2 - Youth without youth

Come ritorna Francis Ford Coppola dopo un’assenza sulle scene internazionali così lunga? Stiamo parlando di uno che ha girato Il padrino, una delle colonne portanti della seconda generazione di cineasti. Cosa ha portato il suo lungo silenzio meditativo? Come si confronta questa colonna con la terza generazione? Semplice: non si confronta.

Il buon Coppola con questo film decide di ignorare completamente il mondo che gli sta attorno. Decide di ripiegarsi su se stesso e sull’indagine del suo passato. Se nel film successivo tale ricerca del passato raggiunge la piena maturità andando a cercare proprio ciò da cui è scaturita (la famiglia) senza reticenze né false ipocrisie con lo spettatore, lo stesso non si può dire per Youth without youth. I due film hanno praticamente lo stesso tema, ma in questo, in italiano tradotto come “Un’altra giovinezza”, Coppola forse si vergogna di questa sua autarchia e cerca di mascherarla.
Si erge a poeta dell’universale (l’umanità) quando in realtà guarda il particolare (se stesso, la sua poetica e tutto ciò che gli gravita attorno). Nessuno credo possa trovare difetti nella sua concezione di cinema, nel suo modo di narrare e inquadrare una scena che procede inesorabile nello sviscerare l’enigma del passato. Tuttavia questa reticenza nell’affrontare quello che davvero sta più a cuore a Coppola tarpa le ali all’intero lungometraggio.

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Voto (3/5):


3 - Sopravvivere con i lupi

Vera Belmont torna dietro la macchina da presa 10 anni dopo Marquise e per continuare una carriera diradata tanto quanto quella di Malick. Tuttavia i paragoni tra i due cinesati si possono fermare qui perché in nessun caso la Belmont può arrivare alle stesse vette espressive del regista americano. Anche se questa pellicola aveva tutti gli elementi per poter essere trattata con la stessa delicatezza che ha animato così sapientemente The new world.
Se quindi la storia di Misha e del suo branco di lupi ci racconta di qualcosa di intimamente collegato all’umanizzazione della natura e all’incomunicabilità umana, questo non viene fatto con troppa consapevolezza e lucidità. Più che assomigliare alla storia ben interpretata da Colin Farrell, questa pellicola sembra una versione sporca e drammatica de La volpe e la bambina. Un po’ poco per l’aura di autorialità e drammaticità che vuole permeare dal film.

Risulta altresì un po’ irritante vedere personaggi che si rivolgono a lupi e costoro capiscono. Senza il giusto tatto scelte del genere risultano irritanti come le persone che parlano ai propri animali come se questi gli rispondessero.

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Voto (2/5):


4 - Eyes Wide Shut

Eyes wide shut può e non può rappresentare la ciliegina sulla torta di una carriera che tende all’assoluto e alla perfezione. Può perché ha tutti i tratti della chiusura di un ciclo. Kubrick per i progetti seguenti si stava già interessando a un ritorno alla fantascienza, quindi al passato. Il suo tocco su tutti i generi del cinema (horror, fantascienza, guerra, storico, …) aveva esaurito il suo compito e lo sapeva bene: da qui i numerosi ammiccamenti a tutte le sue produzioni passate nel film (Bowman, Blume, wing C room 114 …).
Non può essere la giusta conclusione del suo cinema per un motivo ben preciso. Tale motivo si distacca dalla considerazione banale che il film non sia “compiuto” o “pienamente kubrickiano” data la sua morte prima dell’uscita. Queste sono considerazioni da uomo della strada. A mio modo di vedere Eyes wide shut non può essere un punto di arrivo perché contiene dentro di sé ancora tantissima voglia di dire. Non a caso è uno dei pochissimi film di cui Kubrick si disse pienamente soddisfatto al punto da considerarlo il suo migliore. Se piaceva a Kubrick significa che era un punto di inizio, e non di fine.
I due anni di riprese, l’immensa post produzione e i rapporti tra girato e lunghezza del film dicono il resto. Eyes wide shut non è un ritorno in grandissimo stile, come testimonia il voto che gli do sotto questo aspetto, ma l’inizio di un cinema nuovo. Che, sfortunatamente, non vedremo mai.

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Voto (4/5):




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