Variazioni

Più a Ovest di dove?

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1 - The Good, the Bad, the Weird
2 - The proposition
3 - Sukiyaki western Django
4 - Antonio das mortes

Già in passato mi occupai di western atipici. In particolare della trasfigurazione degli elementi tipici del genere attraverso film di altro tipo. Con questa variazione voglio guardare lo stesso problema da un’altra inquadratura. Voglio andare a vedere i film che sono davvero western, in tutto e per tutto. Abbiamo le colt, gli scenari polverosi, bovari e quant’altro. Tuttavia vogliamo spostarci lontano dall’ovest americano. Molto lontano. I film che vogliamo considerare non sono statunitensi e non sono ambientati in America. Abbiamo quindi dei classici western che tentano di declinarne gli stilemi espressivi sotto realtà diverse, per modellare su questo genere eventi e situazioni completamente diverse secondo un linguaggio comune e ben conosciuto da un target preciso di spettatori.



1 - The Good, the Bad, the Weird

Kim Ji-Woon non è nuovo ad esperimenti che sembrano rielaborazioni al limite della follia. Nel suo passato già c’era infatti un remake del pazzesco musical di Miike, Happyness of the Katakuris. Inoltre questo regista sudcoreano non ha nemmeno paura di affrontare maestri del noir e del poliziesco, come nel suo Bittersweet life. In questo caso la sua scommessa è quella di trasportare tutti gli elementi dello spaghetti western in terra di Corea.
Con piccoli inganni e grande attenzione ai dettagli, Ji-Woon riesce a riproporre gran parte degli stilemi che hanno caratterizzato il celebre film di Sergio Leone. L’epoca e la tecnologia è leggermente differente, ma gli elementi che si discostano dall’epica classica sono ben integrati all’interno del film. L’azione risulta piacevole e scoprire tutte le citazioni è un gioco appagante che può intrattenere lo spettatore.
Tuttavia il film scorre via senza riuscire a lasciare veramente il segno. La tecnica di Ji-Woon più che non essere all’altezza non sembra essere versatile a sufficienza. Si capisce da ogni elemento che non si sta vedendo uno spettacolo di trasformisti, ma solo di gatti travestiti da leoni che cercano di ruggire. Su tutte la recitazione del cattivo, con tutto il suo fard, è ridicolmente un classico sopra le righe coreano, per nulla credibile o coinvolgente.

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Voto (2/5):


2 - The proposition

L’Australia si può facilmente considerare come un immenso West degli Stati Uniti. Viene naturale considerarla quindi un set ideale per un’epica storia di bovari. Quest’idea è frullata nella testa, tra gli altri, di uno scrittore non comune: Nick Cave. Dalla sua penna John Hillcoat ha tratto e diretto, con bravura, una storia che non ha quasi nulla di originale né di imperdibile, ma che risulta estremamente gradevole per lo spettatore.

La storia scritta dall’oscuro cantante è un classico che cerca di andare all’osso della natura umana. Una sofferta scelta tra il sacrificio di due fratelli si tramuta in una guerra personale. E’ un film ben interpretato, da un cast di solidi attori in grado di dare il meglio se diretti con criterio, e ben scritto.
Nick Cave riesce a dare alla sua storia un respiro ampio e regolare, fatto delle giuste pause, proprio come uno sceneggiatore professionista. Allo stesso tempo è in grado di fornire un’impronta personale alla sua sceneggiatura, senza rispettare delle regole che, applicate pedissequamente, divengono solo sterili nozioni. In questo lo aiuta di sicuro la sua carriera di cantautore, che rende l’andamento della sua sceneggiatura molto musicale, fatta di strofe e ritornelli. Grandioso anche il comparto musicale, da lui curato, le cui canzoni meritano senza dubbio un ascolto anche all’esterno della visione cinematografica (fatevi un favore e ascoltate la colonna sonora originale, in particolare Rider song).

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Voto (3/5):


3 - Sukiyaki western Django

L’intero cinema di Miike nasce con l’essenza stessa dello straniante. Il regista giapponese col suo essere anarchico e fuori dagli schemi è in grado di indicare a tutti quali siano le incongruenze e le maschere di ipocrisia della vita. Tuttavia è ben meno innocente del bambino che esclama che il re è nudo. La sua forza eversiva sta nell’estrema rappresentazione della violenza, in accordo con la tradizione di un certo teatro antico Giapponese.
Il western in questo caso viene masticato e digerito secondo questi stilemi, trasformandosi in qualcosa al contempo di tradizionale e di innovativo. Tradizionale perchè si respira l’aria di quel teatro. Innovativo perchè lo è sempre l’arte quando entrano in commistione e nell’ibrido parti che sono sempre state lontane tra di loro.

Gli ingredienti di questo cocktail erano dunque esplosivi. Vedere il non esaltante risultato è dunque un doppio peccato. Sapere di poter vagare tra le stelle quando non ci si alza da terra è piuttosto frustrante. Miike ce la mette tutta per fornire la sua espressività al servizio dello spettatore (l’iper sturazione, le parti di animazione, lo sfondo iniziale). Ma non ce la fa, non questa volta.

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Voto (2/5):


4 - Antonio das mortes

I cangaceiros in Brasile sono una figura non molto dissimile dai briganti che popolavano le strade dell’Italia nel periodo dell’unità nazionale. Un elemento più marcato aggiuntivo dei cangaceiros era la loro connotazione politica, che li rendeva in alcuni casi non dei banditi che colpivano a casaccio la popolazione, ma si conformavano come veri e propri capipopolo.
L’Antonio del titolo è un cacciatore di taglie, un cacciatore di teste di questi cangaceiros. Rappresenta dunque l’immagine della persona che combatte questi capipopolo e ne rifiuta il potere che hanno sulle persone. Si conforma come un liberatore dalle false convinzioni per ripristinare un ordine, lo stato di diritto, che dovrebbe essere superiore.
Ma il tempo passa e i cangaceiros si estinguono. E Antonio diventa un relitto, un uomo del passato, senza uno scopo per cui vivere. Su questo suo maliconico essere un uomo senza uno scopo, e sul ritrovare proprio in un rivoluzionario cangaceiro un rinnovato senso della via si gioca questo film. Che non è affatto facile, né per temi, né per ritmo. Ma è una gioia per l’anima.

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Voto (4/5):




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