Variazioni

Ghe ripensi mi

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1 - Funny Games US
2 - The grudge
3 - Tetsuo 2
4 - L'uomo che sapeva troppo

Il remake è già stato considerato su queste pagine. E, come sempre cerchiamo di fare da queste parti, il punto di vista proposto cerca di farsi beffe delle solite banalità. In particolare di quelle che ritengono il remake il solo responsabile dei mali dell’umanità: mancanza di originalità, rovinare le opere originale e tante altre amenità che non stanno né in cielo né in terra. In questo caso vogliamo andare a scoprire dei remake che hanno una caratteristica molto particolare. Sono quei remake che sono stati fatti dall’autore dell’opera originale, che per qualche ragione (solitamente di import nel mercato statunitense, ma non solo) ha voluto cimentarsi nuovamente con qualcosa che viene dal suo passato. Solitamente i suoi pezzi più pregiati di inizio carriera. Largo dunque all’altra faccia della medaglia del “Ghe pensi mi”: remake girati dall’autore originale.



1 - Funny Games US

Il remake del più celebre film di Michel Haneke è qualcosa che va oltre il Bene e il Male. E’ un’operazione talmente smaccata, talmente estrema e dalla forte carica concettuale da correre su un rasoio sottilissimo. Da una parte sta il rischio di essere mandati, letteralmente, affanculo, dall’altra invece sta la possibilità di raggiungere una potenzialità espressiva e dissacrante che sta nelle massime vette dell’arte.
A mio avviso Haneke riesce a ricadere nella seconda branca. Analizzando questo film ci si trova di fronte a qualcosa di spiazzante al quadrato, rispetto all’opera originale già destabilizzante di suo. Se nel primo film la ferocia di una violenza con la facciata della rispettabilità e dell’educazione era spiattellata in faccia a un pubblico trattato proprio come spettatore impotente, qui il gioco viene portato ai suoi estremi. Funny Games US è infatti un remake fotocopia in cui tutto è esattamente come nell’originale. Perfino la villetta in cui è ambientata la vicenda è ricostruita alla perfezione nei minimi dettagli com’era allora.
Lo spettatore viene chiuso in un eterno ritorno dello spettacolo della violenza in sé. E’ rimarcata e sottolineata la sua totale passività e impotenza, imbrigliata in qualcosa che conosce benissimo, sa già come va a finire, ma per cui non ha alcun modo di impedire lo svolgersi degli eventi. Il remake fotocopia è anche un’arte di sottile ironia nei confronti di politiche distributive e di isolamento culturale, che trova nell’americanizzazione di attori e lingua una forte satira che Haneke rivolge verso gli USA.

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Voto (4/5):


2 - The grudge

Takashi Shimizu un giorno ha avuto una bella idea. Non particolarmente originale nella sua terra natale, ma molto forte nel suo svolgimento. Ha preso la classica storia di aragami giapponese, creata sul tema del rancore (una falsariga scintoista): gli aragami sono fantasmi che cercano vendetta per la loro morte violenta. Decine e decine di film hanno questa trama. Ma Shimizu è stato capace di portarla sotto una luce diversa.

Il suo film originale era diviso in sei episodi tutti uguali in cui il protagonista cadeva lentamente dentro le tele tessute da questi aragami. Una volta data la vita a una struttura del genere, Shimizu si è reso conto che questo gioco da eterno ritorno (ma porca miseria! La farò mai una variazione senza Mise en abyme?) poteva essere prolungato all’infinito. E, infatti, lo ha fatto.
I seguiti del Ju-on originale non si contano. Ma più che seguiti si può parlare senza remore di remake. In quanto le situazioni non hanno una vera e propria evoluzione narrativa (si pernsi al seguito). Dove Shimizu cade è nell’import statunitense che qua consideriamo. Perché se rimane l’impianto dell’aragami, cambia tutta l’originalità dell’inquadratura ad eterno ritorno. Piegata alle necessità di linearità e di protagonismo a stelle e strisce, la sua storia diventa povera, sfilacciata, poco efficace e vista altre mille volte.

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Voto (2/5):


3 - Tetsuo 2

Il seguito al celeberrimo Tetsuo non nasce dalla volontà di sapere che cosa succede dopo gli eventi raccontati nel primo film. Tsukamoto ha sempre dichiarato che Tetsuo 2 è semplicemente “quello che sarebbe successo se Tetsuo si fosse trovato in una situazione differente e/o avesse compiuto scelte differenti”. Non più peni-trivella e scontri di volontà di potenza riecheggiati in Meatball machine, ma uno scenario, a colori, totalmente differente.
Innanzi tutto il metallo di Tetsuo si trova inserito più organicamente all’interno del tessuto cittadino. Nella Tokyo cementata e terrorizzante che sarà tipica della poetica del primo Tsukamoto. Vengono poi innestati nel film temi quale il culto e la modellazione del corpo da parte del potere per i propri scopi. Questa volta Tetsuo è più vittima che inconsapevole portatore ed estremizzatore delle proprie volontà.

Vittima di un mondo che con le minacce alla famiglia nel vuole alterare e studiare il corpo. Un’evoluzione di una macchina da distruzione mascherata da innocente competizione (molti sono i rimandi allo sport che torneranno poi in Tokyo fist). Tetsuo 2 rimane inferiore al primo solo in quanto sequel, privo dell’eversione anarchica della giovinezza, della fantasia, della mancanza di mezzi che aguzza l’ingegno.

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Voto (4/5):


4 - L'uomo che sapeva troppo

Hitchcock è l’uomo che sapeva troppo del cinema. A lui si devono moltissime “scoperte” che hanno reso il cinema, di intrattenimento e non, quello che è oggi: un grandissimo spettacolo in grado di emozionare nel profondo. I suoi innumerevoli colpi di genio fondamentalmente si possono riassumere in pochi concetti (invito alla lettura: il dialogo, e non intervista, che ebbe con Truffaut).
Con questo remake la sua intenzione era quella di prendere l’originale ed epurarlo da tutti i piccoli difetti che lo avevano reso meno di perfetto proprio per alcune mancanze in questi principi. Abbiamo quindi, ad esempio, alcune trovate migliori (un ritmo decisamente meglio sostenuto nella scena madre, inquadrature più consapevoli, interpretazione di James Stewart più intensa) che rendono la visione del remake decisamente più appagante dell’originale. Tuttavia questo uomo che sapeva troppo rimane un passaggio sì necessario nella sua filmografia, ma non quella vetta e quell’incredibile miglioramento dell’originale che viene spacciato.
L’idea che sta dietro alla pellicola è quella dell’uomo comune schiacciato da ciò che sa e diviso tra ciò che è giusto per tutti e ciò che è giusto per lui. In questo il divismo di Stewart aiuta poco, e il più dimesso originale, con tutti i suoi difetti (alcuni nemmeno qui risolti del tutto, si veda la straordinaria idea dei piatti ancora non abbastanza esplicita per il pubblico) risulta essere una pietra miliare ben più importante per il cinema.

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Voto (3/5):




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