Interrail
Ostacoli | Film |
Film con protagonisti giovani Film del genere on the road |
1 - I diari della motocicletta
2 - Into the wild 3 - La dea del '67 4 - Avere vent’anni |
Giugno! La fine della scuola, delle preoccupazioni, degli esami! Macchè, qua si lavora come non mai. Però non possiamo fare gli ipocriti (anche se è il nostro mestiere, ogni giorno), quindi ammettiamo di invidiare tantissimo i mocciosi che vanno in vacanza. E non possiamo non tornare con la mente a quando quei mocciosi eravamo noi. E una delle cose che più ricordiamo con piacere del nostro passato è l’esperienza dell’Interrail. Non che io ne abbia mai fatto uno, ma chi c’è stato mi ha sempre narrato avvenimenti epocali e irripetibili. Sarà, io continuo a pensare che l’unica cosa irripetibile sia passare praticamente un mese intero senza farsi una doccia. Maledetti fricchettoni. Ma stiamo divagando: il punto della variazione che vi propongo è proprio quello di celebrare la tanto amata tradizione dell’Interrail. Di film “On the road” ne è piena la cinematografia, è un genere sempre interessante e declinato in ogni salsa. Per rendere questa variazione ancora più legata all’Interrail però ci restringiamo il campo ai soli film on the road con protagonisti adolescenti.
1 - I diari della motocicletta
Fin dallo slogan che fa da sottotitolo al film (“Before he changed the world, the world changed him”), Walter Salles mette subito in chiaro che cosa vuole essere il film. Mette in chiaro fondamentalmente che, anche se il protagonista di questo film si chiama Ernesto Guevara De La Serna, questo non è un film sul Che, ma è un film on the road dall’inizio alla fine e non c’è spazio per altro nella pellicola.
Salles mette in scena il Viaggio puro e semplice. E tutte le altre considerazioni che possono essere fatte sulla figura del Che vengono di conseguenza da quella meravigliosa invenzione che è il Viaggio. Il viaggio è “spostarsi da un punto all’altro”, ma nel Viaggio tutto questo sapore asettico non c’è. Nel Viaggio ti sposti da un punto all’altro anche nella tua visione del mondo. Ovvero abbandoni una visione solo teorica, stereotipata, rinchiusa nel tuo recinto di terra e abbracci le cose per come sono realmente, allarghi il tuo orizzonte.
Insomma: nel Viaggio scopri la realtà per quello che è, non per quello che dovrebbe essere secondo la tua personale visione della vita. Questo è quello che racconta Salles nel suo film. E quello che trasforma un ragazzo con qualche ideale e una carriera di medico davanti in Che Guevara. Salles in fondo ci dice che per essere il Che non serve essere un simbolo da stampare nelle magliette (come invece suggerisce il Soderbergh nella sua agiografia). Serve solo vedere il mondo.
Voto (4/5): |
2 - Into the wild
La vita di Chris McCandless è per molti un enigma incomprensibile. E’ la storia di un ragazzo che aveva nella sua gioventù il mondo ai suoi piedi e ha deciso di mettercelo davvero, questo mondo sotto ai piedi. Ha abbandonato tutto quanto di borghese aveva costruito fino a quel momento e ha deciso di viaggiare, solo con se stesso e con le sue forze più primitive ed elementari. Un gesto che viene spiegato, da chi non lo capisce, come egoismo o codardia.
A mio avviso la giusta lettura è la prima, l’egoismo. E Sean Penn con questo film dimostra di pensarla come me e come lo stesso Supertramp nella sua epifania finale. Un’epifania tragica e liberatoria girata come pochissimi avrebbero saputo fare, con un climax meraviglioso e ben sottolineato (come tutto il film) dalle musiche di Eddie Vedder. Penn gira alla perfezione la storia e il messaggio di una vita esemplare, nel senso di esempio, non certo da ripetere.
La cronaca del suo egoismo e dei suoi errori sono un passaggio necessario da attraversare per giungere alla consapevolezza finale. McCandless parte da una morale da operetta (“Se vuoi una cosa alzati e prendila” e bla bla sulla falsariga della ricerca della felicità) fino a una verità molto più profonda. Nulla di bello ha valore se non è in comunicazione e in condivisione, se questo bene non può essere trasmesso a tutti. E il film di Penn sottolinea questa morale con maturità, senza falsi pietismi o toni da maestrina.
Voto (5/5): |
3 - La dea del '67
Questo misconosciuto film australiano narra la storia di due viaggi ortogonali. Da una parte c’è un desiderio di spostamento geografico di possesso da parte del protagonista maschile. Dall’altra c’è il viaggio temporale attraverso le pieghe di un passato scomodo e difficile da elaborare e digerire da parte della controparte femminile del film, un’adolescente. Il mezzo su cui i due si spostano è la leggendaria Citroen Ds.
Entrambi i protagonisti hanno ciò che vuole l’altro. Lei ha l’oggetto del desiderio, lui l’idea di una stabilità e una normalità entro cui poter trovare pace per i demoni del proprio passato. Inevitabilmente quindi dal primo burrascoso e sanguinoso incontro, le due vite vengono intrecciate indissolubilmente. Il film di Clara Law pecca quindi su un terreno troppo accidentato. E’ ben scritto, ma è troppo ben scritto. Tutti gli elementi della trama sono dove devono essere, in attesa di essere usati.
Il problema è che questo film sembra un pezzo di teatro. Si vedono tutti gli elementi che su un palcoscenico vengono filtrati dalla mente dello spettatore, ma qui rimangono presenti in qualcosa che dovrebbe essere la realtà. E’ troppo palese la finzione, è troppo palese la ricostruzione in vitro delle emozioni umane. E quindi il film non può catturare.
Leggi la scheda del film >>>Voto (2/5): |
4 - Avere vent’anni
Fernando Di Leo è soprattutto noto per noir e polizieschi di altissimo livello all’inizio degli anni ’70. Nessun suo film può essere dunque bollato come poco interessante o leggero, anche se si tratta di un on the road un po’ sexploitation, un po’ erotismo di casa nostra, un po’ commedia di serie B tipicamente italiota. Perché dietro a zinne e battute di bassa lega (quando non pericolosi stereotipi della sinistra fricchettona che fu) si nasconde un film dalla caratura superpiù (qualsiasi cosa questa frase voglia dire).
Di Leo infatti dipinge un film che appare un semplice omaggio ai generi più bassi ai quali si è sempre dedicato solo per far ridere e un po’ di cassa con due dei corpi femminili italiani degli anni ’70 più mozzafiato che si possano ricordare. Invece Avere vent’anni si dimostra ben più profondo di quanto non appaia. Complice anche una svolta nel finale di una brutalità inaspettata e ferocemente fuori dagli schemi (roba alla Deodato “soft”, dove per Deodato “hard” si intende Cannibal holocaust).
Avere vent’anni rappresenta il brusco risveglio da un sogno. Un sogno che non aveva il minimo contatto con la realtà. E un risveglio che fa male, molto male. La cronaca di un fallimento i cui effetti si sentono ancora ora (e non sono sicuro che finiranno presto). La pellicola non decolla per il già citato eccesso di stereotipo e una realizzazione da B-movie che, per quanto voluta, in questo caso non riesce a raggiungere la perfezione da cassetta di un Il boss.
Voto (3/5): |