Variazioni

Paint it black

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1 - Frida
2 - Il mio piede sinistro
3 - Modigliani
4 - Andrei Rublev

Prendo in prestito il titolo di una delle più famose e scatenate canzoni dei Rolling Stones per una variazione che di rock and roll ha ben poco. Per questo giro infatti si parla di arte nella più canonica e calma concezione. Si parla di pittori e di pittura insomma, un’arte che solo dopo una lunghissima gavetta classicistica si è tradotta negli anni del pop in una vera forza rock. Ovviamente lo schema di questa variazione si presta molto facilmente ad essere interpretato sotto variegate sfaccettature: può essere contato come “secondo episodio” dei film biografici, dopo la variazione sulle icone della musica. Una serie del genere può spaziare su tutte le possibili figure artistiche (già nello scrivere mi viene in mente L’ombra del vampiro, dedicato allo Max Schreck scelto da Murnau come Nosferatu) ma anche non artistiche. Le possibilità sono infinite.



1 - Frida

Julie Taymor ha sicuramente molto in comune con la pittrice che ha scelto di ritrarre in questo film. Si potrebbe ben ipotizzare, se si conoscesse la regista, che questo lungometraggio vuole essere la trasposizione su pellicola di un autoritratto. E proprio nella metafora a più livelli di questo particolare tipo di quadro credo che stia, nel bene e nel male, la chiave di lettura del film.
Farsi un autoritratto parlando di una pittrice è un’elegante e intrigante provocazione a scatole cinesi. Molto audace, in larghi tratti del film ma soprattutto della sua carriera, la Taymor scivola in alcuni difetti che prima che imperdonabili sono quasi incredibili. Vedere la altre sue opere (Titus recensito su Five Obstructions, ma anche Across the universe) è sottoporsi a un trip colorato e allucinato di cinema. Colori saturi, scene oniriche, visioni potenti. A volte troppo, a volte pacchiane, ma sempre fortissime e personali.

Tutta questa forza e questa personalità in Frida svanisce come neve al sole. Il film innegabilmente è ben costruito, canonico, senza evidenti difetti. Ma anche senza pregi. Proprio come se la Taymor nel volersi per forza rispecchiare in Frida avesse anche limato gli spigoli del suo espressionismo. Forse perchè si voleva vedere bene, nitida, senza sbavature. In maniera “classica”. Ma, di questi tempi, ciò si traduce in banale, privo di forza vitale.

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Voto (2/5):


2 - Il mio piede sinistro

La vita di un uomo nato quasi completamente paralizzato ad eccezione del suo piede sinistro e che con questo solo piede sia riuscito a diventare pittore e poeta è sicuramente una sfaccettatura della storia dell’uomo che merita una rappresentazione artistica e, più ancora, interessantissima. Quello che a mio avviso condanna il film di Jim Sheridan è il fatto di rimanere schiacciato sotto l’enorme mole di questo interesse smisurato e fuori da proporzioni gestibili al regista irlandese.

Il film ben interpretato da Day-Lewis (la cui prova richiama quella assolutamente magistrale di Moon So-ri in Oasis) viene infatti schiacciato dalla storia che lo ispira. Non riesce a farne un ritratto artistico perché la vuole comprendere tutta, senza rendersi conto che è troppo grossa. E quindi non c’è più spazio per l’arte, in questo piede sinistro, ma solo per l’irlandese cocciutaggine del suo protagonista. Diventa quindi la storia di un uomo forte e caparbio, ma senza comunicare alcun fuoco emotivo.
Eppure un modo per trattare con più arguzia e arte una situazione del genere, basti pensare a Lo scafandro e la farfalla. Julian Schnabel non deve rappresentare un artista, eppure trova una combinazione magica di ricordi, idee di regia e scene oniriche che rendono giustizia al tema dell’uomo intrappolato nel proprio corpo. Cosa che Sheridan non fa, ed è un peccato.

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Voto (3/5):


3 - Modigliani

Questo film di Mick Davis fa parte del nutrito gruppo di pellicole che prendono il loro nome e qualche aspetto della biografia di quel nome e ci costruiscono una struttura che con il nome scelto ha poco o nulla di che spartire (Piano, solo?). E’ così questo film che in italiano ha il sottotitolo de “I colori dell’anima”: un film di genere i cui personaggi invece di chiamarsi Pinco Pallino e Asdrubale Pansa si chiamano Amedeo Modigliani e Pablo Picasso.
Il film si inventa particolari poco attinenti alla vera vita di Modì, come ad esempio la sua rivalità con Picasso e i cubisti in generale. In realtà il pittore/scultore livornese era dotato di un estro e una sensibilità assolutamente unica per l’epoca, che lo portava ad essere completamente isolato sia da alleanze che da diatribe sull’arte sua contemporanea. Di trovare in questo film scialbo particolari del fuoco che bruciava dentro a Modì, della sua follia nel ritratto che portava a imprimere sulla tela l’anima di chi gli stava davanti, nemmeno a parlarne.

Tutto ciò che rimane è la storia di un giovanotto estroso che si destreggia tra atelier e modelle a Parigi. Se avesse avuto cinque anni di meno sarebbe sembrato un film su un ragazzetto in Erasmus in Francia, una versione di inizio secolo de L’appartamento spagnolo. Un po’ poco per Modigliani, non trovate?

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Voto (2/5):


4 - Andrei Rublev

Tutto si può dire del cinema di Tarkovskij tranne che non sia affascinante e fonte di ispirazione su se stessi. Andrei Rublev non fa eccezione. L’unico aspetto che in apertura voglio considerare come unico difetto del film che non lo fa arrivare alle vette di Solyaris o Stalker è la linea narrativa scelta. Il rappresentante di icone sacre è certamente un elemento stupendamente profondo e sfaccettato nelle sue interpretazioni, ma risulta meno affascinante per lo spettatore finale rispetto alle idee esplosive dei due film citati.
Sorvolato questo insignificante particolare si può notare come tutto questo film russo sia un inno all’amore per l’arte. Ma non solo: un inno a tutto ciò che possono fare le mani dell’uomo con amore, che sia artistico o meno. Un amore che migliora il mondo e lo rende un posto ancora più umano. E così la crisi mistica di chi si vuole ritirare dal mondo negandogli la propria arte viene ravveduta dall’ingegno di chi senza alcuna esperienza o competenza, il fanciullino, riesce a regalare a quello stesso mondo un’opera mastodontica e carica di genio, la campana.
O ancora l’affascinante sequenza iniziale, apparentemente slegata dalla linea narrativa principale, dedicata all’antico sogno del volo dell’uomo. Un film che insegna quindi a trascurare i propri piccoli capricci e il nostro elevarci di un gradino al di sopra di un mondo che consideriamo “sporco” o “crudele”. Il mondo è abitato anche da noi. Ed è nostro preciso compito renderlo giorno dopo giorno meno sporco e crudele. E non è con finti culturalismi elitari da intellettuali nella propria torre d’avorio (Le invasioni barbariche) che lo si può fare.

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Voto (4/5):




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